La cucina romana parte da elementi semplici e considerati poveri. Poveri un tempo. Adesso la caciotta essiccata o il pecorino insieme al guanciale da alimenti di scarto e di facile fruizione sono diventati ingredienti gourmet che servono per comporre primi piatti della tradizione italiana. Cacio e Pepe, Gricia, Carbonara e Amatriciana addirittura scatenano vere e proprie guerre di religione. In cucina non ci sono dogmi, ma solo gusto. C’è la tradizione e l’innovazione ed ognuno dovrebbe essere libero di seguire quello che vuole, soprattutto davanti ai fornelli. Fatte queste premesse direi che tutto parte da due elementi. Il cacio ed il pepe. Facilmente trasportabili e di costo contenuto.
Poi entra in scena un altro elemento: il guanciale. Ovvero la guancia del maiale (di cui non si butta via mai niente) conservata sotto sale e spezie che una volta essiccato riusciva a dare energia, sapore e calorie ai contadini ed ai pastori che dovevano nutrirsi durante le lunghe giornate di lavoro.
Per capire le differenze tra i vari piatti di tradizione romana basta seguire un semplice schema. Se al cacio ed al pepe si aggiunge il guanciale si ottiene un bel piatto di gricia. Che sicuramente ha più personalità della semplice, per quanto difficile, cacio e pepe.
Poi si arriva ad un bivio. Se alla gricia aggiungiamo le uova diventa carbonara, se invece il pomodoro (meglio pelato che passato) diventa Amatriciana. Insomma dipende dai gusti e dalle preferenze e da quello che si ha in credenza, però la tradizione della cucina romana impone la semplicità ed il rispetto degli ingredienti. Poi c’è chi aggiunge cipolla, parmigiano, olio e qualcuno osa anche con la panna. Insomma alimenti nobili che però sono incompatibili con i puristi del gusto.
Personalmente sono contro gli stravolgimenti della tradizione ed i capisaldi della cucina italiana e regionale vanno trattati con devozione. Quindi W il guanciale, il cacio ed il pepe. E bene anche uova e pomodoro. Ma ognuno nella giusta sequenza.