Premessa: vedere un film appena uscito sul televisore di casa è una figata! Sarà anche vero che si perde il fascino e la magia di andare in sala, ma i vantaggi in questo esperimento di Netflix sono nettamente superiori agli svantaggi. Credo che il futuro andrà in questa direzione con PrimaFila e Netflix che proporranno in payperview i film appena usciti creando una concorrenza sleale con le Sale. Quindi in vista di questa rivoluzione credo che i Cinema debbano prepararsi e provare a fronteggiare questa novità con qualche trovata geniale.
Detto questo credo sia giusto anche analizzare il contenuto proposto in esclusiva da Netflix. “Sulla mia pelle”, la pellicola di Alessio Cremonini dedicata alla storia di Stefano Cucchi, è una fedele fotografia di una vicenda di cronaca che ha sconvolto tutti per la sua crudezza. Il film non aggiunge nulla alla storia giudiziaria ed al dramma della famiglia Cucchi. I colpevoli sono riconoscibili dalla prima scena e quindi più che la denuncia questa pellicola si fa carico della divulgazione. Cucchi non era uno stinco di santo ma la sua morte è assurda e fuori da qualsiasi contesto di civiltà. L’Arma dei Carabinieri non è demonizzata, ma quei due bulletti in borghese che lo hanno pestato e che danno il via a tutto il calvario sanitario sì. Trionfano le atmosfere cupe, il grigiore, la lentezza ed i silenzi che provocano atroci riflessioni. Il film però lascia molte perplessità sulla sua struttura alle volte troppo rallentata. Maiuscola, invece, la performance di Alessandro Borghi. Non si tratta di una prova di maturità perché l’attore romano ha già dato ampia prova della sua solidità artistica. Benissimo anche Max Tortora che interpreta un fragile padre in preda a tutte le sue angosce. Quello che rimane di questo film è l’atmosfera sospesa. Per tutta la durata lo spettatore invoca nella sua mente l’intervento di qualcuno che possa salvare quel giovane ragazzo vittima delle sue debolezze, della sua fragilità e delle ingiustizie palesi di una vita che si accanisce sempre con i più deboli. Stefano poteva essere salvato da un carabiniere, da una guardia penitenziaria, da un giudice, da un avvocato, da un’infermiera, da un dottore. Ed invece è morto da solo in una fredda stanza di ospedale senza aver visto i suoi cari bloccati da una burocrazia fredda e spietata. “Sulla mia pelle” ha questo grande merito, ci fa aprire gli occhi e ci dice che non bisogna mai soffermarsi sulle versioni di facciata e istituzionali dei drammi che riguardano gli invisibili di questa società superficiale.