Mancava la musica. Fabietto per tutta la durata del film sta con il walkman e le cuffie al collo, ma senza musica. Poche sono le scene dove ci si lascia andare alla gioia e queste sono accompagnate da qualche nota. La colonna sonora del nuovo film di Paolo Sorrentino è fatta di silenzio e di rumori. Napoli è presente e matrigna, anche se alla fine il protagonista decide di abbandonarla come gesto estremo di distacco rispetto alla realtà che lo opprime. Ma senza musica, senza fino all’ultima scena. Pino Daniele rompe il silenzio ma con la sua canzone più triste, quella dedicata alla sua città.
La perseveranza è la qualità da perseguire. L’unica strada per inseguire i propri sogni. Diego calcia così bene le punizioni con il suo sinistro magico perché ha perseveranza. La stessa che manca ai protagonisti del film che però sono solo personaggi normali. Maradona con la sua figura mitologica accompagna in maniera sottile tutta la narrazione. Più presente nella prima parte, nella seconda solo in maniera iconografica. Maradona è il sogno, il desiderio, la gioia, la felicità. Maradona è salvifico, è stata la mano di Dio a salvare Fabietto, alter ego di Sorrentino, dalla morte, ma gli ha regalato anche una vita che non voleva. Una vita di abbandono, una vita di libertà non richiesta, una vita di goffaggine, ma anche una seconda possibilità che il protagonista non sa come poter sfruttare.
Non c’è la musica che è sempre stata grande protagonista di tutte le pellicole del Filemaker. C’è il silenzio. Tanto silenzio ed i rumori. Questa volta Sorrentino si concentra sui suoni, quelli del tempo che fu, quelli della sua gioventù che echeggiano nella testa del protagonista e lo accompagnano per tutta la narrazione. La morte dei genitori che sconvolge la vita di chi a 17 anni si trova ad affrontare una realtà che non voleva. Un’esistenza più prossima alla solitudine che all’inseguimento della felicità. Simbolica la figura di Capuano, mentore di Sorrentino, che lo scuote, lo stimola e cerca di far uscire in superfice il lato artistico di un giovane Fabietto che ancora non sa quale sarà la sua strada.
Non so se vincerà l’Oscar ma E’ stata la Mano di Dio merita di essere visto. Un film dove il simbolismo è circoscritto a momenti chiave del film e non ha una funzione slegante. San Gennaro, il munaciello, la duchessa, Patrizia sono figure necessarie, propedeutiche al racconto. La fotografia è curatissima.