Partiamo subito con una considerazione. La Casa di Carta non vuole raccontare lo scenario di una rapina possibile ma solo l’epopea di personaggi carismatici che vanno contro il sistema, ribaltando i ruoli e la percezione della realtà anche con atti di eroismo coinvolgenti. La Resistenza come filo conduttore. Fatta questa premessa allora si può approfondire meglio la quinta parte de La Casa de Papel. Fenomeno mondiale che Netflix si è accaparrato con grande lungimiranza, la serie si sta protraendo un po’ troppo e da genialata si sta trasformando in forzata parodia di se stessa. Il 3 settembre è uscita la parte quinta con 5 nuovi episodi. A dicembre il finale di stagione.

Il primo assalto alla Zecca di Stato è diventato un successo planetario ed il racconto poteva avere un minimo di verosimiglianza con la realtà mettendo in scena un colpo straordinario di normali rapinatori telecomandati dal Professore che stampano soldi e li portano fuori avendo anche il tempo e l’occasione di goderseli. La prima stagione (prima e seconda parte per un totale di 22 episodi) ha un senso ed una forte identità letteraria mentre la seconda (terza e quarta parte da 8 episodi ciascuna e quinta e sesta da 5 puntate) è solo una studiata e riuscitissima operazione commerciale.

La seconda stagione, infatti, racconta dell’attacco alla Banca di Spagna e fin dalle prime battute si nota subito che c’è un artifizio di sceneggiatura troppo forzato. Pragmaticamente non c’è neanche un motivo per il quale dei latitanti ultramilionari che sono in giro nei posti più belli del globo terraqueo debbano rischiare la pellaccia per rapinare la Banca di Spagna fondere tutti i lingotti d’oro e danneggiare l’economia mondiale annullando le riserve auree di un paese membro della Comunità Europea solo per salvare un membro della banda sfigato, distratto ed innamorato. Proprio per questo si fa fatica a trovare il minimo contatto con la realtà, anche se ormai sembra abbastanza acclarato che la sceneggiatura non vada in questa direzione. Allora bisogna sconfinare nel campo di genere e considerare la CdC alla stregua delle avventure fantastiche e paragonarlo al mondo dei supereroi della Marvel o dell’epica classica per trovare un minimo di dignità narrativa. Tokyo, Rio, il Professore, Nairobi, Stoccolma e compagnia diventano dei paradigmi e solo così possono continuare ad esercitare la loro straordinaria fascinazione. La Resistenza, l’antieroe, il ladro che è dalla parte dei buoni e la polizia che diventa cattiva è alla base del racconto. Il popolo che sta con i ladri e che assiste dietro alle transenne ad una vera e propria guerra senza esclusione di colpi e di mortai.

Solo dopo aver fatto questo passaggio mentale si potrà capire o meno se il continuo de La Casa di Carta è piaciuto oppure meno. La drammaticità del racconto, i morti, la guerra, il sangue, i colpi di scena sono tipici dell’epica. L’eroismo e la morte. Poco importa se ad essere mitizzati sono i ladri. Si parteggia spudoratamente per loro perché quelli che dovrebbero essere i buoni sono delle merde. La tensione è alta ed i colpi di scena non mancano. La forza della serie è questa e ci tiene incollati alla tv o a qualsiasi device. Finiscono le puntate e rimani collegato aspettando che il countdown di continua a guardare ci porti alla prossima. La Casa di Carta nonostante questi vuoti narrativi, forzature ed esagerazioni hollywoodiane continua a calamitare l’attenzione e questo è un grande potere. Ha la forza è tenere incollati milioni di fruitori.