Tengo ai Lakers e non l’ho mai nascosto. Qualcuno mi dirà: troppo facile tifare gialloviola, è come se tifassi la Juve nel calcio. Quando sento queste argomentazioni il mio sangue ribolle. Innanzitutto perché il giallo ed il viola insieme fanno tutt’altro effetto rispetto al bianco ed il nero e poi perché quando scelsi i Lakers erano ancora una crisalide che ancora doveva trasformarsi in farfalla, quindi non scelsi subito la squadra più facile da sostenere. Era il 1981 l’Nba la faceva vedere la domenica mattina Italia 1 o Canale5, non ricordo bene, e la commentava Dan Peterson forse con Bagatta. Le squadre che passavano più spesso erano tre. I Boston Celtics di DJ, Parish ed un giovane Bird, i 76ers di DoctorJ e Darryl Dawkins ed i Lakers di Kareem e dello showtime di Pat Riley.

Ecco fu quella parola pronunciata mille volte da Peterson che mi fece impazzire. SHOWTIME! I Lakers volavano in contropiede ed era Showtime! Jabar spalle a canestro faceva due palleggi verso il centro dell’area e segnava in GANCIO CIELO. Pazzesco! Impazzivo e tifavo gialloviola. Anche i colori credo abbiano influito per un giovane imberbe colpito da quell’esplosione cromatica. E poi c’era lui. Guardava da una parte e passava dall’altra. Era altissimo e palleggiava come un giocoliere. Palla tra le gambe, dietro la schiena e sorrideva sempre. Ecco i Lakers avevano qualcosa di MAGIC.

E poi avevo sette anni, quasi otto, ed ero facilmente influenzabile. I Boston mi stavano antipatici. Così a pelle e credo che questa cosa mi sia rimasta fino ad oggi. I Sixers no, perchè avevano Darryl Dawkins che mi sembrava enorme e DoctorJ che schiacciava sempre. Però il mio cuore era ormai gialloviola. Tra un mamma butta la pasta ed un play non deve mai superare la linea tratteggiata la mia passione per la palla a spicchi viaggiava come il mio tifo per i Lakers. In seguito non mi sono mai fatto infinocchiare da Micheal Jordan o Dominique Wilkins, da Karl Malone, Charles Barkley o Clye Drexler. Per me esistevano solo i Lakers e così sono andato avanti fino ad oggi.

Il 17esimo anello conquistato nella bolla di Orlando mi ha fatto gasare e non poco. Innanzitutto perché adesso i Celtics non guidano più la classifica dei titoli totali e poi perché Lebron James ha terminato finalmente il suo percorso di redenzione nella mia testa. Mi era antipatico e non sono mai riuscito a nasconderlo. Il Prescelto mi stava sulle balle, innanzitutto perché si faceva chiamare il prescelto e poi perché non ho mai condiviso le sue scelte da prescelto. Poi ovviamente appena ha indossato la 23 in gialloviola la mia percezione da tifoso è totalmente cambiata. Poi insieme a lui è venuto il giocatore che più ho adorato nell’ultimo decennio ed insieme hanno formato una coppia pazzesca. AD mi ha sempre fatto impazzire. Giocatore fantastico, che ha un’eleganza clamorosa che si mischia in maniera elitaria con il talento e la potenza. Anthony Davis sa fare tutto. Sa anche tirare grazie alle lezioni del mio amico Mike Penberthy che dai tempi dei Pelicans se l’è messo sotto e lo ha fatto sgobbare molto affinando incredibilmente la sua tecnica allargando anche il suo raggio di tiro. Anthony Davis se l’è portato ai Lakers – un ritorno in un’altra veste per lui – e così anche Mike domenica sera si è potuto fumare il suo sigaro gigante che ha il sapore della vittoria.