Oggi è lunedì, primo settembre. Due parole che bastano a rovinare l’umore: “lunedì” e “settembre”. Settembre è il mese che fa il prepotente. Chiude l’estate senza nemmeno chiedere permesso, spegne il sole un po’ prima, fa scendere la temperatura e ti ricorda che la festa è finita. Le ciabatte tornano in fondo all’armadio, e con loro la tua leggerezza.

E già qui potremmo chiudere il discorso, perché bastano due parole – “lunedì” e “settembre” – per evocare più tristezza di una pioggia battente durante un picnic senza ombrello. Settembre è il mese che fa il bullo: non ha il calore spensierato di agosto, non ha la poesia natalizia di dicembre, eppure detta legge. Decide che la festa è finita, che il mare si può richiudere come un ombrellone e che la tua pelle abbronzata avrà la stessa durata del ghiaccio in un gin tonic.

Eppure – ed è qui il trucco – settembre ha il fascino sottile della malinconia. Perché settembre è il mese dei ritorni. Alla routine, agli orari, al “ci vediamo dopo le ferie e ne parliamo con calma” che finalmente ti presenta il conto. È il mese delle agende nuove, che prometti di riempire ordinatamente salvo poi ridurle a un campo di battaglia di post-it. È il mese dei buoni propositi: palestra, alimentazione sana, meno scroll su Instagram. Tutte cose che dureranno quanto? Fino al 15, se sei ottimista.

Eppure, paradossalmente, settembre è anche un inizio. Un piccolo capodanno travestito, senza fuochi d’artificio ma con l’odore delle matite nuove e il suono dei campanelli delle scuole. È il mese che ti obbliga a crescere di un altro anno, che tu lo voglia o no. Quindi eccoci qui: a metà tra il rimpianto dell’estate e la speranza di un autunno dolce. Un piede nelle infradito e l’altro già nella scarpa chiusa. Con la malinconia che pizzica il cuore, ma anche con quella strana eccitazione che solo le cose nuove sanno dare. Forse settembre non è poi così male. È solo un po’ onesto: ti ricorda che niente dura per sempre, ma che tutto può ricominciare.

Eppure, questa malinconia non è nuova. È quasi un classico, tanto che da decenni settembre è una musa musicale. I Pinguini Tattici Nucleari, con la loro Malinconia e Settembre sono due sinonimi cantano in Romantico Ma Muori, ci hanno messo dentro tutta quella nostalgia da sabbia tra i capelli e reality check di fine ferie. Ma prima di loro c’è una lunga genealogia di cantanti che hanno subito lo stesso colpo basso dal calendario.

C’è Lucio Battisti, che in Io vivrò (senza te) cantava proprio “Settembre, andiamo, è tempo di migrare”. Non era esattamente una canzone sull’autunno, ma il mese diventava simbolo di distacco, di addio. C’è Alberto Fortis con Settembre, un piccolo gioiello sospeso tra malinconia e speranza. E come dimenticare September Morn di Neil Diamond, che trasuda romanticismo d’oltreoceano? Oppure September Song, ripresa da decine di artisti, da Sinatra a Jeff Lynne, tutti innamorati di questo mese che sembra sempre portare via qualcosa. Per non parlare dei Green Day, che hanno fatto della frase Wake me up when September ends l’inno di chi vorrebbe semplicemente saltare questo capitolo del calendario.

Insomma, settembre non è solo un mese: è uno stato d’animo. È quella sensazione dolceamara di fine e inizio insieme, di vacanze finite ma quaderni nuovi, di giornate più corte ma cieli più puliti. È la promessa tradita dei buoni propositi: “da settembre dieta”, “da settembre palestra”, “da settembre smetto di guardare serie fino alle tre di notte”. Promesse che, puntualmente, muoiono intorno al 12.

Eppure c’è un fascino unico in questo malinconico ritorno alla normalità. Perché settembre è anche un piccolo capodanno segreto, senza brindisi né botti, ma con lo stesso carico di possibilità. È il mese che ti ricorda che non puoi fermare il tempo, ma puoi decidere come attraversarlo.

Quindi sì, settembre: ti odio, ma un po’ ti amo.