Una volta vista l’ottava ed ultima puntata di Un’Estate Fa è scattato il tam tam di telefonate e messaggi. “L’hai capito il finale?”. “Secondo me è così…” “Ma non capisci niente, è finito in questo modo”. Blackout narrativo ed il finale complesso pongono delle domande. Non aver capito come finisce è una forza o una debolezza della serie di Sky interpretata da Lino Guanciale? Un’Estate Fa è un viaggio nel mare dei ricordi.
“Cosa mi ricordo di quell’estate? Mi ricordo che non dormivamo mai
e che la musica era bellissima e che avevamo sempre tutto il tempo. Mi ricordo
che eravamo felici, e mi ricordo che il mondo ci faceva paura. Perché niente
era veramente nelle nostre mani. Ricordo che ogni nostro pensiero puntava
all’infinito, ma che ogni caduta ci ammazzava. Mi ricordo che eravamo sicuri di
poter avere tutto, senza sapere che anche il sogno più grande può morire in un
attimo come la nostra giovinezza. O magari avevamo ragione allora, quando
pensavamo che bastava volerlo per poter cambiare le cose. Viviamo vite come
fossero binari, ma basta che un rigore vada diversamente per cambiare tutto, il
passato, il presente, il futuro. La vita, in fondo, è una questione di
centimetri. Il futuro: quello che sarebbe potuto essere, quello che sarebbe
stato giusto, quello che non sarà mai”.
Gli anni 90. I favolosi anni ’90 sono i protagonisti di questa storia. Un’estate fa, la nuova serie Sky Original in otto puntate ideata da Michele Alberico e Massimo Bacchini e prodotta da Sky Studios con Fabula Pictures ha grandi ambizioni. Protagonisti Lino Guanciale e Filippo Scotti tra presente e passato narrativo. Un crime-thriller transgenerazionale che parla di amore, dolore e traumi inelaborabili attraverso un viaggio tra epoche temporali differenti, unite sottilmente da un macabro fatto di cronaca che riemerge all’improvviso. Take On Me degli A-ha, Pump Up The Jam dei Technotronic ed Enjoy the Silence dei Depeche Mode. Elio, il protagonista della serie, si divide tra presente e passato. Soffre di vuoti di memoria, ma ci sono ricordi che affiorano all’improvviso fornendo di volta in volta nuovi pezzi del puzzle.
Questo espediente narrativo fa diventare la serie una backstory nostalgica. Il rinvenimento del corpo di Arianna a trenta anni di distanza riapre un coldcase dove la scoperta dell’assassino diventa la cosa meno importate. La componente crime del racconto quasi crea distonia. Gli sceneggiatori, insomma, hanno voluto sovvertire le regole del giallo, affidando ad un solo personaggio il doppio ruolo di investigatore ed assassino, costruendo una fitta rete di indizi e di snodi che, nel rispetto del genere, hanno condotto il pubblico a sospettare prima di uno poi dell’altro tra i protagonisti della serie. Gli anni 90 hanno la luce ed il colore, i giorni d’oggi invece sono grigi e tormentati. Tanto da faci venire un dubbio: siamo sicuri che è meglio guardare avanti e non goderci quello che abbiamo vissuto e che ci sembra così bello?